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Il condominio negli edifici rappresenta una scuola di democrazia popolare nella forma più genuina; è la più semplice realtà della vita in cui sperimentare direttamente il fenomeno di come si formano e si contrappongono maggioranza e minoranza, la differenza esistente fra potere deliberativo (assemblea) e potere esecutivo (amministratore), la correlazione fra informazione, dibattito e decisione, tra libertà di voto, assunzione di responsabilità e partecipazione nel consigliare, nel fare, nel tollerare e soprattutto nel pagare.
In un sistema dove tradizionalmente prevale la tutela dell'esigenza patrimoniale rispetto a quella abitativa e della personalità, dove la rigida ratio proprietaria ostacola l'armonizzazione della disciplina codicistica alle nuove richieste di ordine sociale, dove il criterio dominante delle scelte dell'utenza è l'economicità assoluta, il legislatore è dovuto infatti intervenire con normative speciali e maggioranze facilitate per ovviare ai "diritti di veto" di minoranze assembleari, spesso strumentali ed ingiustificati.
Così, nell'ambito condominiale, in nome del concetto romanistico di proprietà, espressione di un diritto assoluto ed illimitato, si ripetono gli atti emulativi di chi agisce al solo scopo di arrecare il maggior danno possibile agli altri partecipanti, senza che da tale comportamento possa derivargli un minimo vantaggio.
Per ovviare all'individualismo sfrenato, non bastano i tentativi di una parte della dottrina particolarmente attenta ai valori della persona; bisognerebbe cambiare la disciplina, ma ancora di più un modo di pensare che vede la proprietà come diritto di disporre dei propri beni in modo pieno ed esclusivo, senza minimamente preoccuparsi delle esigenze ed aspirazioni altrui.
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