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Il volume inizia con un'ampia critica alle concezioni naturalistiche del delitto tentato: se l'accusa dovesse provare che il reo era consapevole di compiere "atti idonei e diretti in modo non equivoco" a commettere un delitto, il dolo del tentativo non sussisterebbe quasi mai e, comunque, non sarebbe mai dimostrabile senza la confessione del reo.
Criticata pure la teoria che s'impernia sull'inizio dell'azione tipica, l'autore propone di considerare delitto tentato soltanto il tentativo realizzato mediante atti di per sé illeciti rispetto ad una norma-avamposto (eventualmente anche non penale) che tuteli il bene preso di mira.
Ciò rende l'aspetto oggettivo del delitto tentato assai simile a quello della colpa per violazione di leggi, portando anche ad un importante mutamento dell'interpretazione del reato impossibile.
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