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I libri, che s'intitolano filosofie del diritto, contengono
un vario, e spesso assai pregevole, materiale di
dati storici, di schematismi giuridici, di critiche circa
istituti sociali e di proposte riformatorie; o anche
importanti vedute filosofiche generali. Ma tutto ciò
resta fuori della mia indagine. Io debbo fermarmi
soltanto a quelle parti di essi, - talora, poche pagine
introduttive, o qualche capitolo o paragrafo, che si
cela quasi vergognoso nella selva delle discussioni
estranee, - nelle quali si cerca di stabilire il fondamento
o il concetto del diritto.
Proprio queste trattazioni del problema peculiare e
fondamentale del diritto mi hanno destato sempre
i maggiori dubbi. Pare a me, come già ad altri, che
si sia ancora, per questo riguardo, press'a poco nella
condizione in cui si era alla fine del secolo decimottavo;
quando Kant, parlando nella Critica della
ragion pura della difficoltà delle definizioni, notava
che i giuristi cercavano sempre, ma non erano riusciti
ancora a trovarne una pel diritto. Il rapporto di diritto
e morale, che il giurista von Jhering chiamava il capo
Horn (o capo delle Tempeste) della scienza giuridica,
mi sembra, in verità, il capo dei Naufragi. L'indole
dell'attività giuridica rimane ancora oscura, e non si
è riusciti a distinguerla davvero da quella dell'etica. -
Se non si è riusciti, - si potrebbe dire, - gli è che la
distinzione non esiste; e la filosofia del diritto dev'essere
puramente e semplicemente assorbita nell'etica. -
Ma a questa conclusione resiste ostinatamente una
certa confusa coscienza, che è in tutti, dell'elemento
differenziale, che il diritto contiene rispetto alla
morale. E le si oppone poi con energia tutta la storia
della filosofia del diritto, la quale è sorta appunto dalla
necessità di fissare la distinzione di diritto e morale.
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